When darkness speaks, it changes everything, turning home into a foreign land and loved ones into strangers.
Ancora la mia generazione pensa che i videogiochi siano cose da ragazzini. Ma, da quando ero ragazzino io, l’industria videoludica, come quella del fumetto, si è evoluta fino ad includere contenuti adulti. D’altro canto, nelle scuole elementari si fa leggere Il piccolo principe che non è affatto una favola per bambini. Nel caso di Hellblade Senua’s sacrifice edito e sviluppato da Ninja Theory, il contenuto adulto riguarda nientepopodimeno che la psicosi. Quello che gli sviluppatori del gioco, grazie ai contributi di psichiatri e pazienti, hanno tentato di fare con questo titolo è cercare di immergere il giocatore nel mondo per come lo vive e lo esperisce una persona affetta da psicosi. Tentativo solo parzialmente riuscito perché solo parzialmente può riuscire in quanto, fortunatamente, non è così facile indurre le modificazioni percettive e comportamentali proprie della psicosi in persone con una struttura di personalità, per così dire, normale. Tuttavia, l’esperienza è sicuramente disturbante: le voci in stereofonia tridimensionale, scenari di cadaveri e sangue, il mutare della forma delle cose in base alla prospettiva, la minaccia di ombre che possono attaccare a ogni angolo, il pericolo che tutto possa essere cancellato all’errore successivo, la presenza di personaggi che non si capisce se sono reali o fantasmatici, la storia raccontata non in sequenza lineare, gettano il giocatore in uno stato di angoscia e allerta fin dai primi momenti del gioco. Ma la persona sana di mente, che in quanto tale non soffre dello spezzarsi dell’esperienza propria della psicosi, vede e vive la continuità della trama del gioco, la sua logica, senza la quale il gioco non potrebbe mai essere giocato, e quindi non potrà mai esperire appieno l’esperienza psicotica che, nel suo fondo, è lo spezzarsi di qualsiasi trama e logica. A questo proposito, nel menù iniziale del gioco è incluso un documentario sulla costruzione del gioco stesso che gli autori raccomandano di guardare a gioco concluso, in quanto contiene immagini anche di fasi avanzate dello stesso. Io consiglio invece di guardarlo prima di iniziare altrimenti l’aspetto ludico prende il sopravvento sull’aspetto contenutistico, e il tentativo degli sviluppatori di costruire l’intera esperienza videoludica (gameplay) a partire da esperienze psicotiche viene perso. Nonostante il gioco non riesca appieno nel suo intento – e forse nemmeno lo voleva –, il titolo, a mio avviso, ha indubbiamente valore. In primo luogo, è lodevole il tentativo di trattare il tema della psicosi all’interno dell’industria videoludica la quale, in virtù della sua struttura comunicativa, è maggiormente in grado rispetto ad altri media di immergere il fruitore all’interno dell’esperienza che vuole trasmettere: potendo guidare attivamente il personaggio, il giocatore s’immedesima maggiormente nella situazione di gioco rispetto, ad esempio, a una lettura dove le azioni del protagonista, e ciò che ne consegue, vengono solo passivamente subite. In secondo luogo, il contributo non solo degli psichiatri quanto soprattutto dei pazienti affetti da psicosi è, almeno per gli addetti ai lavori, palese nella sceneggiatura del gioco che merita una menzione d’onore per la poetica profondità e gli spunti di riflessione che offre; per quanto disturbanti, ascoltate quello che dicono le voci perché a volte lanciano dei fulmini di comprensione sulla condizione psicotica degni dei migliori testi di psicopatologia. Infine, una questione cara alla fenomenologia, se si presta attenzione alla trama, per quanto raccontata in maniera discontinua, e si cercano lungo il gioco tutti gli elementi secondari, si evince il tentativo di iscrivere l’eziopatogenesi della psicosi non solo in fattori biologico-ereditari, ma anche e soprattutto nella storia di vita della protagonista.
Never forget what it is like to see the world as a child, Senua: where every autumn leaf is a work of art; every rolling cloud, a moving picture; every day a new story. We too emerge from this magic, like a wave from the ocean, only to return back to the sea. Do not mourn the waves, the leaves and the clouds. Because even in darkness the wonder and beauty of the world never leaves. It’s always there, just waiting to be seen again.